F.A.Q.

F.A.Q.


Risposte alle domande più frequenti

 

Abbiamo selezionato una serie di domande frequenti che potreste chiedere al dentista e al fine di dare ai pazienti informazioni chiare ed esaustive e prevenire, dunque, eventuali fraintendimenti.


1. TC Cone Beam: quali sono i vantaggi rispetto alla Tac tradizionale?

Le differenze principali della TC Cone Beam rispetto alla TAC di vecchia generazione sono due. La TC Come Beam innanzitutto sottopone il paziente ad una dose radiogena venti volte inferiore rispetto alla TAC di vecchia generazione; si passa da una media di 100 microsievert della TC Come Beam a circa 2000-2500 microsievert di una TAC di vecchia generazione. Essa garantisce inoltre una maggiore qualità dell’immagine, utile per la riduzione della probabilità di distorsione in acquisizione. Con la TC Come Beam risulta inoltre molto più immediata la visualizzazione 3D dell’immagine stessa. L’American Academy of Oral and Maxillofacial Radiology suggerisce ormai da tempo la Come Beam CT come metodo d’elezione per la valutazione pre-chirurgica dei siti implantari, e per la valutazione di strutture anatomiche nobili. Link alla normativa europea per l’utilizzo delle TC in ambito odontoiatrico.

2. Qual è l’utilità dell’uso del microscopio operatorio?

Il microscopio operatorio risulta utile, e spesso indispensabile, in endodonzia, e ciò sia nei casi di denti con particolari caratteristiche anatomiche, sia nei casi di endodonzia chirurgica. Il microscopio viene inoltre utilizzato per particolari interventi di chirurgia muco gengivale o di odontoiatria restaurativa, in cui, grazie alla mininvasività, il risultato estetico diventa imprescindibile per ottenere un risultato ottimale.

3. È possibile avere alcuni chiarimenti in merito ai sostituti ossei?

Quando deficit di altezza e/o spessore dell’osso complicano le convenzionali procedure di posizionamento implantare, i sostituti di osso sono una delle opzioni che il chirurgo orale ha a disposizione per ottenere una corretta ricostruzione tissutale al fine del posizionamento implantare. Per aumentare lo spessore o l’altezza dell’osso, è possibile in particolare utilizzare tre tipi di materiale:
– osso omologo, di tipo membranoso (reperibile nella sinfisi mentoniera, nel cranio o all’interno del cavo orale) o di tipo encondrale (prelevato dalla cresta iliaca).
– osso autologo, proviene da individui della stessa specie, ma genotipicamente diversi. Si ricava da cadaveri opportunamente trattati e conservati nelle banche dell’osso. Esso risulta attualmente disponibile sotto forma di tre stati fisici: congelato, secco congelato (liofilizzato), secco demineralizzato congelato.
– osso eterologo, di cui ne esistono di molte tipologie. Tra i più comuni vi sono il solfato di calcio, i biovetri, l’idrossiapatite, l’osso animale, fino ad arrivare alle più recenti nano-molecole di sintesi e alle cellule staminali.
L’odontoiatra discuterà col paziente circa la migliore tra le suddette opzioni.

4. È possibile avere alcuni chiarimenti in merito alle membrane di collagene?

Le membrane di collagene vengono impiegate già da molti anni nella rigenerazione tissutale guidata (Guided Tissue Regeneration – GTR) e nella rigenerazione ossea guidata (Guided Bone Regeneration – GBR): trattasi delle tecniche chirurgiche da utilizzare quando il paziente ha perso la fisiologica struttura anatomica che risulta essere necessaria per gli scopi terapeutici prefissati. Il principio di queste tecniche si basa sull’applicazione di una membrana che funga da barriera per separare le cellule rigenerative e a lenta proliferazione (come osteoblasti) dalle cellule epiteliali e del tessuto connettivo a rapida proliferazione. In questo modo diventa possibile una rigenerazione predicibile del tessuto perso. Inoltre, le membrane trattengono e proteggono il materiale d’innesto durante l’aumento della cresta alveolare. Diversi sono i fattori che rendono il collagene il materiale migliore dal punto di vista biologico per produrre membrane barriera riassorbibili: questo risulta essere chemiotattico per le cellule rigenerative quali gli osteoblasti, i fibroblasti gengivali e le cellule del legamento parodontale, oltre ad essere altamente biocompatibile.

5. Qual è il metodo più efficace di pulizia dei denti?

I denti devono essere lavati almeno due volte al giorno, per 3 minuti ogni volta. Dalle ricerche attuali, non sembra essere possibile mantenere salute parodontale ad un intervallo di frequenza maggiore di 24 h.
Per quanto riguarda la modalità, sono stati descritti in letteratura vari metodi di spazzolamento, a seconda della direzione del movimento prodotto dalla testa dello spazzolino (rotatoria, vibratoria, circolare, verticale, orizzontale e fluido-dinamica). Nei pazienti affetti da parodontite si tende a suggerire una metodica di spazzolamento intra-sulculare, con movimento vibratorio (metodica di Bass Modificata, vedasi link Metodica di Spazzolamento Verticale Bass Modificata). Il movimento orizzontale, sembra essere il meno efficace e può danneggiare la gengiva (provocando recessioni gengivali e, in taluni casi, ipersensibilità): deve essere dunque limitato alla superficie masticatoria del dente.
Non esiste una verità assoluta relativa alla tipologia dello spazzolino, la letteratura scientifica non evidenzia infatti differenze significative tra i risultati ottenibili con lo spazzolamento manuale ed alcuni spazzolini elettrici.

6. Quali sono gli effetti della mancata pulizia dei denti?

Principalmente si ha un accumulo di placca batterica, la quale può poi portare allo sviluppo di patologie cariose o alla compromissione dell’apparato che sostiene il dente, ovvero il parodonto, causando inizialmente una gengivite (reversibile) e, successivamente una parodontite (irreversibile), fino ad arrivare alla caduta degli elementi dentari. Se la placca non viene rimossa mediante una corretta igiene, si mineralizza portando alla formazione di tartaro: questo è rimovibile solo grazie a strumenti utilizzati dal dentista o dall’igienista. Inoltre, numerosi studi clinici e sperimentali hanno evidenziato la presenza di una forte associazione fra le parodontiti e alcune malattie sistemiche, in particolare malattie cardiovascolari, diabete, patologie polmonari e complicanze nel periodo di gravidanza.

7. Quali sono i legami tra alimentazione e igiene orale?

La nostra bocca è ricettacolo naturale di una molteplicità di batteri i quali trasformano in acido gli zuccheri presenti nei cibi: gli acidi sono in grado di aggredire lo smalto dentale e provocare la carie. La maggior parte dei pazienti affetti da problemi di carie ricorre ad una dieta ricca di zuccheri e, spesso, pecca di un’igiene orale non adeguata o insufficientemente scrupolosa, fattori che favoriscono la formazione della placca batterica nel cavo orale. Il maggiore pericolo di malattia cariosa risiede dunque nella frequenza con cui gli zuccheri vengono consumati, piuttosto che nella loro quantità complessiva. Bambini abituati a mangiare quantitativi ridotti di cibi zuccherosi, ma in momenti diversi della giornata e senza procedere al successivo spazzolamento dentale, sono più esposti al rischio di carie di coloro che ne concentrano una maggiore assunzione, seguita da una buona igiene orale. Il saccarosio in particolare è lo zucchero più facilmente metabolizzato dai batteri del cavo orale: tale processo dura meno di trenta minuti, tempo entro il quale è indispensabile provvedere allo spazzolamento dei denti allo scopo di salvaguardarli dal rischio di carie. In generale si consiglia cibi che richiedono una masticazione più robusta, i quali tendono ad attaccarsi in misura minore ai denti e al bordo della gengiva; la masticazione stessa favorisce il massaggio gengivale ed un maggior grado di detersione orale.

8. I risciacqui con il collutorio servono?

I collutori non sostituiscono certo una corretta tecnica di spazzolamento dei denti. Esistono tuttavia diverse tipologie di collutori, quelli comunemente definiti da banco e presenti anche nei supermercati, che possono risultare utili come strumenti di prevenzione della carie dentaria. I collutori che invece richiedono una prescrizione medica hanno una più specifica azione antibatterica parodontale e sono di solito utilizzati per brevi periodi legati alla impossibilità di praticare le normali tecniche di spazzolamento dei denti. Questi ultimi possono avere effetti collaterali dannosi se usati continuativamente per lunghi periodi.

9. Quali sono i soggetti più esposti al rischio parodontale?

Si possono ammalare con più frequenza di malattia parodontale coloro che non osservano una buona pulizia dei denti e che presentano una predisposizione individuale alla malattia.
Il fattore di rischio può essere sia un aspetto del comportamento dell’individuo, sia una caratteristica intrinseca del soggetto o genetica, sia un’esposizione ambientale o stile di vita. Vengono in particolare definiti fattori di rischio reali tutte le esposizioni direttamente correlate con l’insorgenza della malattia, essi sono rappresentati da condizioni patologiche o da abitudini estremamente diffuse nella popolazione (fumo, diabete mellito, modificazioni ormonali). La correlazione fra fumo di tabacco e malattia parodontale si fonda sui potenziali effetti di diverse sostanze collegate al fumo, come la nicotina, il monossido di carbonio e il cianuro di idrogeno. Il fumo, infatti, può influire sulla vascolarizzazione, sul sistema immunitario cellulare ed umorale, su quello infiammatorio, ed esercitare effetti attraverso la rete di citochine e molecole di adesione. Studi hanno dimostrato che nei fumatori i siti superficiali sono colonizzati da livelli maggiori di patogeni parodontali come Porphyromonas gingivalis. Il diabete mellito rappresenta una malattia complessa che interessa quasi tutti gli organi ed apparati tra cui il cavo orale: tali complicanze sono dipendenti anche dal grado di controllo metabolico (diabete compensato o scompensato). I cambiamenti ormonali a cui vanno incontro le donne in condizioni fisiologiche (pubertà, mestruazioni, gravidanza, menopausa) portano a variazioni significative nella gengiva, e più in generale in tutto il parodonto, rappresentando la gengiva un tessuto bersaglio per l’azione degli ormoni steroidei.

10. Esiste un metodo per prevenire la parodontite?

Possiamo intanto distinguere una terapia causale e una terapia correttiva, ove la prima si rivolge alla cura delle cause che determinano l’insorgenza della malattia, mentre la seconda ha come obiettivo la correzione dei difetti da essa provocati. Nell’ambito della terapia causale, occorre agire su diversi fronti; poiché infatti esiste una relazione tra la presenza di placca dentale e la comparsa della parodontite, la terapia causale, dal punto di vista clinico-operativo, prevede l’eliminazione del biofilm batterico dalle superfici dentali e l’eliminazione di tutti quei fattori che possono essere considerati irritanti o che possano favorire l’accumulo di placca. Molto importanti al fine del buon esito della cura risultano inoltre essere azioni di carattere informativo ed educativo sanitario. Un altro aspetto, essenziale ma spesso trascurato, risiede nella diagnosi precoce da parte degli operatori sanitari di quelli che costituiscono i fattori di rischio per la comparsa e lo sviluppo della parodontite e di quelle che sono le lesioni che l’accompagnano e la caratterizzano. A tal fine, è fondamentale l’instaurazione di una collaborazione attiva e ben gestita tra il dentista e l’igienista dentale, entrambi promotori di un valido e sinergico approccio, sia in termini di profilassi che di trattamento. In caso di sopravvenute lesioni parodontali e premessa una preliminare, attenta e scrupolosa terapia causale, la moderna parodontologia possiede poi molteplici terapie correttive di tipo chirurgico. Si precisa però che la terapia chirurgica, definita, appunto, terapia correttiva, cura i difetti provocati dalla malattia, ma non le cause che l’hanno provocata, né la malattia in sé.

11. Qual è la differenza tra terapia causale e chirurgica?

Le patologie delle gengive si trattano attraverso la rimozione di placca e tartaro dalle superfici dentali con trattamenti non chirurgici (levigatura delle radici) e chirurgici (sollevamento di lembi gengivali e levigatura delle radici). La strumentazione parodontale sopra e sotto gengivale essenzialmente mira a ridurre la carica batterica ed a creare condizioni ambientali compatibili con lo stato di salute del paziente. Inoltre, è propedeutica ad eventuali trattamenti chirurgici ritenuti necessari dall’odontoiatra in fase di rivalutazione dello stato di salute parodontale. È efficace anche nell’ottenere, in caso di intervento chirurgico, la riduzione del sanguinamento in fase operatoria, la riduzione del tempo chirurgico, la riduzione dei tempi di guarigione, una maggiore facilità di sutura per una migliore qualità del tessuto ed una minore formazione del tessuto di granulazione durante il processo di guarigione.

12. In cosa consiste la chirurgia plastica parodontale?

La chirurgia muco gengivale ha come obiettivo la correzione di quelle alterazioni tissutali che riguardano i tessuti molli. Tanto per citarne alcune ci riferiamo alla correzione delle pseudo tasche, così come a quegli interventi riferiti a correggere alterazioni della forma, posizione ed andamento dei margini gengivali, oppure atti a modificare, incrementandola o riducendola, la dimensione della banda di tessuto gengivale posta all’emergenza cervicale della corona dentale. Nel caso in cui la patologia, oltre ad interessare i tessuti molli si estenda sino a coinvolgere i tessuti duri, la chirurgia muco gengivale, pur non agendo direttamente su questo distretto tissutale (i tessuti duri), può essere comunque indicata allo scopo di ottenere un accesso migliore, a fini operativi, alle superfici ossee sottostanti: il lembo d’accesso (OFD: Open Flap Debridement). Si tenga presente che la chirurgia muco gengivale, pur non agendo direttamente sui tessuti ossei, può indirettamente concorrere a migliorarne le condizioni.

13. Si può prevenire la carie?

La carie dentale è una malattia che si può in larga parte prevenire. Un buon programma preventivo comprende sedute di igiene orale, sedute periodiche di controllo, applicazione di fluoro sia professionale che domiciliare (sciacqui, paste dentifricie, ecc.), istruzioni per il controllo domiciliare della placca e suggerimenti dietetici. I pazienti con superfici radicolari scoperte (recessioni gengivali, pazienti anziani ecc) sono maggiormente a rischio di carie della radice. Tali pazienti vanno motivati ad una igiene efficace ed alla auto-applicazione di fluoruri. Un aumentato rischio di carie è altresì presente in pazienti che assumono particolari farmaci o il cui flusso salivare sia ridotto.

14. Come sono composte le otturazioni?

Le tecniche di restauro conservativo permettono la sostituzione della parte di dente danneggiato con dei materiali che simulano le caratteristiche fisiche del tessuto dentario. Generalmente vengono utilizzate le resine composite, completamente atossiche ed estetiche (compositi nanoceramici) che hanno la capacità di legarsi al dente con un sistema adesivo che raggiunge la sua massima unione sullo smalto. Le resine raggiungono la loro indicazione assoluta nelle otturazioni dei denti anteriori dove è fondamentale, oltre al colore, la forma e l’integrazione tra il materiale da otturazione e la parte di dente residuo per raggiungere un perfetto mimetismo ed il ripristino dell’estetica. Sono soggette, però ad una minor resistenza alla carie secondaria, soprattutto nei punti in cui l’adesione non è direttamente sullo smalto, motivo per il quale risultano essere fondamentali sia il loro corretto posizionamento (che richiede maggior attenzione ed una tecnica operativa più complessa, rispetto all’uso dell’amalgama), sia i programmi di prevenzione.

15. Le carie e la loro terapia sono dolorose?

Le carie possono essere sintomatiche ed asintomatiche: la corona dentale è costituita da una porzione più superficiale, lo smalto ed una più profonda, dentina, che risulta essere innervata. Se la lesione è a carico dello smalto, risulterà essere asintomatica, viceversa se la lesione è così profonda che interessa la dentina, molto probabilmente provocherà dolore. Le sensazioni che si possono percepire possono spaziare dal dolore propriamente detto a sensibilità a stimoli freddi (a volte anche caldi), oltre a fastidi alla masticazione etc etc. In seguito a terapia conservativa è molto difficile prevedere la natura della sensibilità post-operatoria. Generalizzando, le carie più superficiali dovrebbero creare meno sensibilità di quelle profonde: in realtà i fastidi post-operatori derivano dalla direzione delle forze di contrazione delle resine composite o ovviamente dalla soglia di dolore del singolo paziente.

16. Cosa sono gli intarsi?

Gli intarsi sono delle ricostruzioni eseguite dall’odontotecnico in laboratorio: viene definito restauro indiretto proprio perché realizzato al di fuori della bocca del paziente e successivamente con una metodica di cementazione adesiva viene “unito” al dente precedentemente preparato (ricostruzione preprotesica/build up). In entrambe le soluzioni terapeutiche (ricostruzioni dirette o indirette), la completa rimozione del tessuto demineralizzato ed infetto rappresenta lo scopo della terapia conservativa. Il ripristino della cavità ottenuta può essere eseguito con restauri diretti (otturazione) od indiretti (intarsio). La scelta terapeutica dipende da fattori clinici (presenza o meno di smalto a livello del gradino cervicale, configurazione e complessità della cavità, localizzazione ed accesso, numero di restauri nella stessa arcata, rapporti con i denti approssimali ed antagonisti, età del paziente) e soggettivi del paziente (accettazione del provvisorio, richieste estetiche più o meno importanti, problemi di tempo e distanza, disponibilità economiche). Risulta, ovviamente, fondamentale la dimensione della cavità residua, in particolare di fronte a lesioni cariose medio-grandi è possibile optare per restauri indiretti (intarsi) che consentono un miglior ripristino morfologico dell’elemento dentale compromesso.

17. In cosa consiste la devitalizzazione del dente?

La polpa dentaria, contenuta all’interno del dente, comunemente indicata con il termine di “nervo del dente”, è in realtà un tessuto connettivo altamente specializzato contenente arterie, vene, terminazioni nervose e cellule connettivali. In seguito ad una carie profonda e relativa contaminazione batterica, oppure in seguito ad un trauma, la polpa va incontro ad infiammazione ed infezione: è il quadro, clinicamente spesso doloroso, della pulpite. L’infiammazione acuta o cronica si può propagare al di fuori dell’apice della radice dentaria e diffondersi all’osso alveolare circostante provocando lesioni definite come ascesso o granuloma e visibili in radiografia come un’area scura (rarefazione ossea) intorno all’apice della radice. In questi casi l’indicazione al trattamento endodontico è assoluta, essendo l’unica alternativa all’estrazione dell’elemento dentario in questione: esso consiste nella rimozione del tessuto pulpare sia a livello della corona sia a livello delle radici e nella sostituzione del tessuto rimosso con un’otturazione permanente in guttaperca e cemento canalare, previa adeguata sagomatura dei canali radicolari. Trattasi di un trattamento abbastanza lungo, soprattutto per i molari, poiché necessita di una o più sedute secondo i casi, esso infatti prevede nell’ordine: radiografia diagnostica, anestesia locale (l’intero trattamento è completamente indolore), ricostruzione provvisoria della corona dentale quando questa è distrutta (allo scopo di lavorare in condizioni ottimali di isolamento del campo operativo), isolamento del campo operativo mediante la cosiddetta diga (ovvero un foglio di gomma teso da un archetto metallico e tenuto in situ da un uncino metallico), apertura della camera pulpare attraverso la corona dentaria, ritrovamento del/dei canali e misurazione della lunghezza del canale (dalla corona fino all’apice radicolare) mediante una radiografia e/o un localizzatore elettronico dell’apice. Dopodiché si procede mediante uno strumentario endodontico alla asportazione della polpa canalare, dii batteri e sostanze infette, creando nel medesimo tempo una forma a cono, adatta a ricevere il materiale d’otturazione, a seguire lavaggi con ipoclorito di sodio (potente antisettico), riempimento permanente dei canali con guttaperca, (materiale plastico e modellabile con il calore, associato a cemento canalare), otturazione provvisoria, controllo radiografico per verificare la corretta esecuzione della cura e infine ricostruzione del dente a scopi protesici. La percentuale di successo di un trattamento endodontico corretto è, in condizioni normali, elevatissima (97%), diminuisce nei casi di ritrattamento, quando cioè la cura canalare è già stata effettuata in precedenza ma in maniera inadeguata (cure corte, errori di strumentazione, presenza di varianti anatomiche etc.). In questi casi, comunque, si può intervenire chirurgicamente con l’apicectomia ed otturazione retrograda in modo da aumentare le probabilità di successo.

18. In cosa consiste un ritrattamento endodontico?

Occasionalmente un dente che è stato sottoposto a trattamento endodontico può non guarire oppure continuare a dolere nonostante la terapia: questo può avvenire dopo mesi o anche anni. Quando ciò accade, il dente può essere salvato con il ritrattamento; in questi casi il dente deve essere riaperto e i canali nuovamente detersi ed otturati. Nei casi in cui ciò non sia possibile (canali curvi, perni nei canali, etc.) può essere necessaria un’incisione della gengiva che permette di esporre l’apice del dente al fine di poterlo sigillare (apicectomia ed otturazione retrograda). Prima, durante e dopo il trattamento il dente può fare male: in questi casi una copertura anestetica intraoperatoria ed una terapia farmacologica appropriata in genere risolvono il problema dolore, trattasi comunque di un inconveniente che non pregiudica il buon esito della terapia. Molte volte il ritrattamento è l’unica alternativa all’estrazione.

19. Corona protesica: di cosa di tratta?

La corona protesica, chiamata spesso impropriamente “capsula”, è un “guscio” che permette la ricostruzione completa della porzione esterna del dente, riproducendone forma e colore. È ancorata (con cemento o viti) alla porzione residua del dente (la radice) o ad un eventuale impianto. Più corone protesiche possono essere unite insieme e, ancorate ai denti residui, permettono la sostituzione di denti mancanti: in questo caso si parla di “ponte”.
Esistono differenti materiali per la realizzazione di corone (ceramiche, resine, metalli etc, etc), le loro caratteristiche estetiche e di resistenza sono molto variabili; la scelta dei materiali andrà quindi eseguita con attenzione del Protesista, rispetto agli obiettivi della terapia. Per esempio, quando il rischio di frattura è basso, potranno essere impiegati con tranquillità materiali più belli, ma più fragili. Leghe metalliche (di metalli nobili o non nobili) e differenti materiali ceramici possono essere utilizzati singolarmente o anche combinati tra loro per la realizzazione “a strati” della corona.

20. Quali sono le caratteristiche delle estrazioni dentali, sono tutte uguali?

L’elemento dentario che più frequentemente viene estratto perché incluso o mal posizionato è il dente del giudizio: per esso risulta utile avere un’indagine radiografica tridimensionale, sì da avere una chiara idea di quelli che sono i rapporti con le strutture nobili (nervi e vasi) contigui alle radici del dente in questione. Anche gli altri elementi dentari, con una frequenza decisamente inferiore, possono richiedere l’avulsione per motivi legati alla loro posizione, a trattamenti ortodontici, per formazione di tasche parodontali o per carie destruenti. Nei pazienti candidati alla sostituzione di elementi dentari estratti con impianti è presente l’indicazione a preservare la dimensione dell’osso che accoglieva le radici del dente (alveolo) mediante l’innesto di bio-materiale che ha la funzione di ridurre il riassorbimento dell’osso preesistente.

21. Cosa sono cisti e ascessi?

Per ascesso si intende la formazione di una raccolta purulenta (pus) in una cavità neoformata conseguente ad una infezione batterica. La terapia dell’ascesso è variabile ma generalmente, qualora la sola terapia medica non sia sufficiente, gli ascessi devono essere trattati chirurgicamente, così da favorire la fuoriuscita del materiale purulento e, quindi, la decompressione dell’area interessata, con conseguente eliminazione del dolore ed incremento della circolazione locale. Il drenaggio dell’ascesso si ottiene alternativamente con l’incisione dei piani superficiali cutanei o mucosi, con l’estrazione dentale, la terapia endodontica (anche chirurgica) o il trattamento parodontale del dente responsabile.
La cisti è una formazione patologica che presenta una forma generalmente sferica ed ha la tendenza ad un lento accrescimento a spese dei tessuti circostanti. L’aumento di volume di una cisti può portare al riassorbimento delle radici di denti contigui e dei tessuti ossei che la contengono. In altre occasioni si può verificare la dislocazione degli elementi dentali adiacenti. La posizione e la velocità di crescita di una cisti sono due dei fattori che il dentista prende in considerazione nel decidere se procedere alla rimozione chirurgica della stessa o monitorarla nel tempo tramite controlli clinici e radiografici periodici. La rimozione chirurgica può avvenire tramite apicectomia (piccolo intervento chirurgico rivolto a rimuovere la lesione peri-apicale nei denti malati in cui la terapia canalare tradizionale non è possibile).

22. Alcune riposte sul dente del giudizio.

Quando un terzo molare non ha sufficiente spazio per erompere completamente, o è posto in una posizione anomala, si manifesta facilmente un’infiammazione della gengiva, del parodonto profondo, dell’osso e del dente vicino, che prende il nome di pericoronarite e che si configura come un quadro clinico definito “disodontiasi del terzo molare”. I terzi molari inclusi in stretta prossimità di un secondo molare comportano quasi sempre un danno dei tessuti di quest’ultimo e talvolta sono tali da determinarne la perdita. Più tardi si interviene con l’avulsione del terzo molare incluso, più le lesioni a carico del secondo molare potranno diventare irreversibili. I terzi molari vanno controllati a partire dall’adolescenza, già in questi anni è possibile una precoce analisi sul futuro spazio disponibile per una corretta eruzione dei terzi molari. Il controllo viene effettuato tramite esame radiografico: ortopantomografia e/o tomografia computerizzata (TC DentaScan). La chirurgia dei terzi molari rappresenta in genere per i pazienti un evento temuto e quindi da evitare o quanto meno da procrastinare nel tempo, ma quando esistono problemi a carico dei terzi molari, va ricordato che l’aggravamento della patologia è progressivo. Si deve inoltre segnalare che esiste un consenso generale sul fatto che le complicanze chirurgiche sono molto meno frequenti se si interviene tra i 17 e i 20 anni. A questa età le radici sono formate per due terzi, l’osso è relativamente elastico, il legamento parodontale è lasso e spesso, quindi l’intervento è più semplice e la guarigione post-chirurgica è rapida. Gli studi dimostrano che i pazienti più giovani hanno un decorso operatorio e post-operatorio significativamente migliore rispetto ai pazienti più anziani.

23. Quando iniziare i controlli?

Si consiglia di far eseguire la prima visita odontoiatrica approssimativamente a 4 anni: a questa età infatti, dovrebbe essere completata da un anno la dentatura decidua, inoltre il bambino ha raggiunto un buon livello di cooperazione ed è quindi un buon momento per fargli prendere confidenza e fiducia con l’ambiente odontoiatrico. La visita serve anche per istruire i genitori sulle regole di igiene orale e di alimentazione da adottare, per controllare la presenza di lesioni cariose e per controllare l’occlusione: già a questa età ci possono infatti essere delle anomalie nell’occlusione di natura strutturale o per disfunzioni, che si devono e si possono, intercettare e curare. Fare una prima visita ortodontica dopo i 4 anni, quando saranno già nati i primi molari permanenti, potrebbe non avere la stessa valenza.

24. Cos’è l’ortodonzia invisibile?

Sono sempre più numerosi i pazienti che si rivolgono allo specialista chiedendo di poter raddrizzare i denti purché l’apparecchio correttivo non risulti visibile. La terapia consiste nell’utilizzo di una serie di mascherine trasparenti, che devono essere utilizzate in sequenza. Le mascherine riallineano i denti attraverso una serie di apparecchi in polimero trasparente, rimovibili ed invisibili una volta indossati. Con questo sistema, inoltre è possibile visualizzare, prima ancora dell’inizio della terapia, il progressivo spostamento degli elementi dentari grazie all’utilizzo di un software che elabora immagini in 3D.